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La Donna nella Scrittura Cinese

 

 

 

 

Università degli Studi di Bologna

 

 

 

 

Tesina sui Caratteri Cinesi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Scrittura Cinese

 

di

 

Nicola Nobili
Descrizione del carattere “nü”

La presente dissertazione analizzerà uno dei caratteri maggiormente ricorrenti nella scrittura cinese, ossia il logogramma[1] “donna”, che in cinese si trascrive e si pronuncia “nǚ”.

            Il carattere è estremamente semplice (figura 1):

 

Figura 1: il carattere “nǚ

 

            Esso si compone di appena tre tratti: il primo scende verso sinistra, per poi essere ribattuto verso destra a metà altezza (piĕdiăn), il secondo parte da metà altezza e scende da destra a sinistra, intersecando il primo in basso (piĕ), il terzo e ultimo è un semplice tratto orizzontale, a metà altezza, che scorrendo da sinistra verso destra interseca il primo tratto ed il punto iniziale del secondo (héng). Il corretto ordine dei tratti è riportato qui di séguito (figura 2):

 

Figura 2: l’ordine dei tratti

 

            Per disegnare il carattere in maniera corretta occorre immaginarlo all’interno di un quadrato ideale, ed è necessario che vengano rispettati alcuni criteri fondamentali, ossia, per dirla con Abbiati e Chen (1997:44-46), “il tratto orizzontale deve essere piano […] e il baricentro ben equilibrato”, “l’insieme deve risultare compatto e ben proporzionato”, “i tratti debbono apparire animati e dinamici”. Si riporta nella seguente figura 3 un esempio del carattere “nǚ" su carta quadrettata, al fine di evidenziare il corretto andamento dei tratti e di esaltarne l’armoniosità delle proporzioni.

 

Figura 3: proporzioni del carattere


Storia ed evoluzione del carattere

Si sta analizzando un carattere estremamente antico, come testimonia la sua stessa natura pittografica: i pittogrammi, ossia caratteri che riproducono graficamente il referente della parola stessa, sono infatti il primo tipo di carattere a comparire; esso si presta unicamente ad esprimere un certo numero di concetti concreti, come nomi di persona, di animale ed alcune entità naturali come il sole, la luna e la montagna (si vedano Abbiati, 1992:170 e Albanese, 1989:47). I pittogrammi, è opportuno precisare, costituiscono un’esigua frazione dell’intero repertorio linguistico cinese. Si pensi che già nel 100 d.C. nel dizionario di Xǔ Shèn solamente il 4% dei caratteri elencati è di natura pittografica (dato estratto dal sito Zhongwen.com), e che da allora, verosimilmente, alcuni di essi sono caduti in disuso o sono divenuti comunque di uso meno comune, visti gli enormi cambiamenti che ha subito la società cinese nel corso dei millenni.

            Originariamente, nel carattere era possibile identificare una donna nell’atto di prostrarsi, “inginocchiata, con le braccia raccolte nelle maniche” (Yuan, 1993:155; figura 4):

 

Figura 4: immagine tipo da cui prende spunto il pittogramma

 

            L’illustrazione ha generato un pittogramma che, originariamente (3400 anni fa circa), quando veniva inciso sui gusci di tartaruga, aveva l’aspetto che si può vedere nella figura 5[2].

 

Figura 5: pittogramma originario (1400 a.C. circa)

 

            Il disegno mostra chiaramente la postura genuflessa della donna, ritratta di profilo. Nel corso dei secoli, “nǚ" ha subito, come la quasi totalità dei segni del repertorio logografico cinese, alcune modifiche, ma queste non sono state troppo rilevanti: un’occhiata ai disegni riportati nella figura 6, che mostrano, rispettivamente, il carattere “nǚ" nel periodo delle iscrizioni sui bronzi (1100 a.C.), nello Stile del Piccolo Sigillo (200 a.C.), nello Stile Amministrativo (100 a.C.) e nello Stile Esemplare (300 d.C.) dimostra che, a parte lo sviluppo di una maggiore “geometricità” dei tratti, il segno linguistico è rimasto sostanzialmente immutato, al punto da essere facilmente riconoscibile in ogni epoca.

 

   

Figura 6: evoluzione nei secoli del carattere

 

            L’unica grafia che si discosta in maniera notevole è quella corsiva (figura 7), ma in questo caso si deve parlare piuttosto di una modalità di scrittura particolare, che esalta la rapidità a discapito della precisione nell’esecuzione, non di una differenza di carattere storico-evolutivo.

 

Figura 7: stile corsivo

 

nǚ nei composti

“Nǚ” si incontra nei caratteri composti unicamente in vece di radicale, ossia della parte del carattere che fornisce l’aggancio semantico al nuovo carattere, ma non indicazioni sulla sua pronuncia. Non si utilizza, invece, con funzione fonetica, anche a causa della scarsezza di morfemi cinesi che presentino una notevole somiglianza acustica col carattere in questione[3].

            A differenza di molti altri radicali, quando “nǚ” rientra in un carattere complesso non subisce alcuna modificazione grafica di rilievo, limitandosi ad assumere dimensioni leggermente più “schiacciate” per poter occupare assieme ad un altro insieme di tratti lo stesso spazio che occuperebbe da solo.

Un carattere di uso così comune e che si riferisce ad un concetto tanto elementare dà luogo, com’è ovvio supporre, ad un gran numero di composti. Il dizionario di Zhao e Gatti (1996) ne riporta 56, il sito Internet Zhongwen, 78, il dizionario di Viotti Bonfanti (1991) ben 174[4]. Assai spesso questi composti presentano il radicale “nǚ” a sinistra e la componente fonetica a destra. In qualche caso (una decina o poco più), la donna viene spostata nella parte bassa del quadrato ipotetico che circoscrive il carattere.

A questa regola sembrano esistere solamente due eccezioni assolute. La prima è costituita dal carattere “zhuāng” (“truccarsi”), dove il radicale, che pure sembra perfettamente appropriato dal punto di vista del significato, occupa inspiegabilmente la metà destra del quadrato (figura 8)

 

Figura 8 il carattere zhuāng

 

            La seconda eccezione, più apparente che reale, è data da “wēi” (“potenza”, “forza”), dove la donna, di dimensioni ridotte, si ritrova incastrata nel basso, circondata da altri tratti in tre direzioni (si veda la figura 9). L’anomalia è però, in questo caso, ben facile da spiegare: dovendo combinarsi con un altro elemento piuttosto esteso, che occupa quasi per intero il quadrato immaginario, la componente radicale non ha potuto fare altro che inserirsi nell’unico spazio rimasto libero.

 

Figura 9 il carattere wēi

 

            Come si diceva, sovente il radicale compare nella parte sinistra. A sfruttare questa struttura grafica sono moltissimi caratteri che indicano persone di sesso femminile, segnatamente relazioni di parentela o di ordine sociale. Si riportano nella seguente Figura 10 alcuni casi lampanti, ossia i caratteri “mā” (“madre”), “jiě” (“sorella maggiore”), “mèi” (“sorella minore”) e “gū” (“zia paterna”), in cui la parte destra suggerisce la pronuncia e quella sinistra, il carattere “nǚ”, appunto, allude al sesso della persona che designa.

 

      

Figura 10: i caratteri “mā”, “jiě”, “mèi” e “gū”

 

La condizione della donna nella società cinese arcaica

Se è vero che la lingua è sempre l’espressione di un popolo, questa affermazione è particolarmente calzante per un idioma come quello cinese, che si avvale di un sistema di scrittura estremamente artistico, il quale fornisce un gran numero di informazioni sulla civiltà che l’ha inventato. Il fatto stesso di rappresentare la donna in posa umile, in ginocchio, induce a ritenere, non senza fondamento, che la donna occupasse una posizione sociale subalterna e che da lei ci si aspettasse soprattutto obbedienza. Questa ipotesi non deve stupire, dal momento si sta parlando di una società arcaica (i caratteri cinesi hanno visto la luce millenni or sono) e che fino a tempi relativamente recenti le rappresentanti del sesso debole non godevano in nessun Paese della parità di diritti.

Si fornirà nelle righe seguenti un’analisi di alcuni composti del carattere “nǚ” che avvaloreranno la tesi della posizione subalterna della donna.

            Un’osservazione abbastanza evidente è che sembra sussistere una corrispondenza tra la posizione del radicale “donna” e la sua posizione all’interno del composto: quando la donna si trova in basso, sovente il significato del composto stesso è in qualche modo “discriminante”, o comunque spiacevole. Un esempio lampante è costituito dal carattere “ān”, ossia “pace”:

 

Figura 11: l’ideogramma “ān”

 

            Questo ideogramma esprime il concetto astratto che rappresenta mediante una metafora: ponendo un tetto sopra ad una donna, si afferma tacitamente che la pace si raggiunge quando la donna resta in casa.

            Un altro carattere analogo al precedente per struttura e per la posizione del radicale è il seguente:

 

Figura 12: il carattere “lán”

 

            Questo carattere, l’aggettivo “bramoso”, indica un vizio, ed è quindi quantomeno curioso che gli antenati dei moderni Cinesi abbiano deciso di adoperare come componente “semantica” proprio una donna. Sarebbe possibile fare illazioni e spiegarlo, per esempio, asserendo che la donna è da sempre l’oggetto della bramosia dell’uomo, figura dominante nella Cina arcaica, ma a prescindere da qualunque interpretazione, di certo il carattere ha un’accezione negativa, ed una sua componente fondamentale è proprio la donna.

            A conferma del fatto che le donne fungono spesso da ricettacolo di tutti i vizi della scrittura cinese, si addurrà l’esempio di un altro carattere, “jí” (Figura 13), che associando la donna alla malattia, identifica la “malattia delle donne”, ossia l’invidia.

 

Figura 13: il carattere “jí”

 

            Da un vizio femminile, si passa col carattere seguente ad illustrare una “virtù” degli esponenti del gentil sesso. Il carattere “qī” (“moglie”), raffigura, come si rileva chiaramente dalla Figura 14, una donna sovrastata da una mano che brandisce una scopa. Una moglie ideale, quindi, sembrerebbe essere una donna che rimane tra le quattro mura domestiche (si veda “ān” poco più in alto) e si dedica unicamente al governo della casa.

 

Figura 14: il carattere “qī”

 

            Un caso particolarmente interessante si ha quando “nǚ” dà vita ad un carattere composto costituito unicamente dalla somma di più “donne” all’interno dello stesso spazio. Questa tecnica per la formazione di nuovi caratteri non è insolita nella lingua cinese, ed anzi viene adoperata alquanto spesso, segnatamente coi pittogrammi. Usualmente un carattere composto da due o tre parti semplici identiche ha un significato coincidente, in qualche modo, con un accumulo del concetto basilare. Per esempio, il pittogramma “rén”, ossia “persona”, “uomo”, due semplici tratti obliqui che si incontrano in alto a simulare le gambe di un individuo in posizione eretta, può essere ripetuto tre volte nello stesso spazio per formare un nuovo carattere, “zhòng”, che indica la “folla”, ovvero un accumulo di più persone (si veda la Figura 15).

 

 

Figura 15: i caratteri “rén” e “zhòng”

 

Una capacità ancora maggiore di “accrescere il proprio significato” presenta il pittogramma “mù”, che significa “albero”. Questo può essere raddoppiato per formare “lín”, “foresta” (ovvero, un insieme di alberi), e può anche aggiungere un terzo albero in cima (“sēn”), assumendo il significato di “pieno di alberi[5]”.

 

        

Figura 16: i caratteri “mù”, “lín” e “sēn”

 

            Analogamente, sovrapponendo al pittogramma “fuoco” (“huŏ”) un altro pittogramma identico nello spazio di un carattere solo, si ottiene “yán”, che come primo significato esprime il concetto di “fiamma”, rimanendo quindi nel medesimo campo semantico.

 

     

Figura 17: i caratteri “huŏ” e “yán”

 

            Il caso dell’accumulo di più donne, invece, dà risultati del tutto differenti: ponendo una donna in alto ed altre due donne in basso non si ottiene niente che abbia a che fare, propriamente, col mondo femminile, bensì si ricava il carattere “jiān” (riportato nella Figura 18), che significa “adulterio”:

 

Figura 18: il carattere “jiān”, grafia tradizionale

 

            La logica alla base di una simile scelta, di natura ideografica e non pittografica, è evidente: si commette adulterio quando si ha più di una donna allo stesso tempo. A questo punto si impone una riflessione: secondo lo stesso principio, sarebbe stato altrettanto logico porre tre uomini nello stesso carattere, dal momento che l’adulterio è un fenomeno che interessa, almeno potenzialmente, entrambi i sessi nella medesima maniera. Il fatto che la scelta sia ricaduta sul “sesso debole” la dice lunga sulla natura maschilista della Cina antica.

            Il carattere “jiān”, è però opportuno precisare, non appare più in questa forma, se non a Taiwan, ad Hong Kong e in àmbiti estremamente tradizionalisti, dal momento che, negli anni Cinquanta, ha subito una netta semplificazione grafica, riducendosi ad una più “anonima” forma che comprende una sola donna sulla sinistra unita ad un elemento estremamente semplice sulla sua destra (si veda la sottostante Figura 19). Si è perso, il questo modo, l’elemento maschilista originario.

 

Figura 19: il carattere “jiān”, grafia semplificata

 

            In altri casi, la scarsa importanza sociale della donna traspare anche quando il radicale si trova a sinistra invece che in basso. Si veda, per esempio, il carattere “nú” (“schiavo”), riportato dalla seguente Figura 20.

 

Figura 20: il carattere “nú”

 

            Il carattere rappresenta una donna minacciata da una mano. È utile soffermarsi sul fatto che, come fa notare Tan Huay Peng (1998:19), questo carattere si usa per riferirsi indistintamente a schiavi o servitori di entrambi i sessi; eppure, graficamente ne esiste una sola versione, nella quale si è scelta la donna e non l’uomo.

            Per concludere questa breve panoramica, si è scelto un altro carattere piuttosto indicativo, ossia “yāo”. La donna, che dovrebbe avere una qualche attinenza col significato del composto, coabita con un elemento fonetico per dar vita alla parola “demonio”.

 

Figura 21: il carattere “yāo”

 

            Al termine di questa rassegna di pregiudizi sulla figura della donna nella Cina arcaica, è opportuno, per completezza, citare anche i pochi casi in cui la stessa, a giudicare dalla scrittura, sembra invece esprimere significati positivi. Si pensi al poetico carattere che i Cinesi hanno scelto per rappresentare il concetto astratto di “buono” (“hǎo”). Dovendo “disegnare” un sentimento che poco si presta ad assumere una forma fisica, si è dovuti ricorrere ad un ideogramma basato su una similitudine: avvicinando una donna ad un bambino, si afferma tacitamente che “buono” è chi si comporta come una madre col proprio figlio. Nel caso di questo ideogramma, riportato nella Figura 22, non è però possibile fare alcuna supposizione sulla corretta pronuncia, vista l’assenza di elementi fonetici all’interno del carattere.

 

Figura 22: il carattere “hǎo”

 

            Un altro caso interessante per uno studio della Cina primordiale è il carattere “xìng”, che significa “cognome”. Esso è composto da una donna sulla sinistra e da una versione ristretta del carattere “nascere” (“shēng”) sulla destra. Non è possibile decifrare questa semplice struttura senza essere a conoscenza del fatto che, originariamente, in Cina il cognome veniva tramandato per linea materna, diversamente da quanto avviene al giorno d’oggi. Ironicamente, la componente semantica non costituisce più un aiuto alla comprensione del significato del composto, e allo stesso tempo anche la parte fonetica della stessa ha subito modifiche non irrilevanti. Tuttavia, è ragionevole supporre che, se il cognome veniva trasmesso dalla madre, ci sia stato un tempo in cui nel grande Paese asiatico la donna godeva di un prestigio maggiore di quello che tanti altri caratteri lasciano supporre.

 

Figura 23: l’ideogramma “xìng”

 

            Infine, c’è un certo numero di composti di “nǚ” che esprimono, a tutti gli effetti, concetti gradevoli, di cui si fornisce un elenco indicativo nelle righe seguenti e nella seguente Figura 24.

            I caratteri scelti per questa breve rassegna sono: “miào” (“meraviglioso”), “wăn” (“gentile”, “elegante”), “wŭ” (“affascinante”), “xián” (“raffinato”), “yú” (“divertire”, “svago”)

 

        

Figura 24: i caratteri “miào”, “wăn”, “wŭ”, “xián”, “yú”

 

            Il comune denominatore di tutti questi caratteri sembra essere la natura allettante dei loro significati. Si direbbe che la donna venga qui adoperata in funzione della sua bellezza, del suo fascino, in quanto “oggetto del desiderio” del dominante genere maschile. In fondo, anche queste accezioni positive rientrano nell’àmbito di una società fortemente improntata al maschilismo.

            Il campione dei caratteri presi in esame fino a questo punto non esaurisce certamente il panorama delle potenzialità del radicale “nǚ”; tuttavia, chi scrive è dell’idea che le linee interpretative fornite nel corso del presente lavoro possano spiegare adeguatamente anche le restanti decine di composti che, per ragioni pratiche, non si sono potute prendere in considerazione.

 

Nota grammaticale

Per concludere la rassegna sul carattere “nǚ” si aggiungerà una breve notazione di carattere prettamente grammaticale, che pur non essendo strettamente connessa alla grafia del carattere si ritiene opportuno menzionare per ragioni di completezza.

            “Nǚ”, pur essendo tecnicamente un sostantivo, viene sovente impiegato con funzione di aggettivo, giustapponendogli un altro carattere di cui svolge il ruolo di determinante. In questa maniera la lingua cinese sopperisce, in qualche modo, alla sua totale assenza di flessioni, che ne è la principale caratteristica morfologica. Si forniscono soltanto due esempi di questo diffusissimo fenomeno (Figura 25). Nel primo, aggiungendo “nǚ” alla sinistra del carattere “wáng”, cioè “re”, otteniamo l’omologo femminile del sovrano, la “regina”. Il secondo sintagma invece mostra come, mediante l’aggiunta di “nǚ” al sostantivo neutro “háizi” (“bambino”), se ne marchi il genere in maniera inconfondibile, ottenendo una “bambina”[6].

 

         

Figura 25: i sintagmi nominali “nǚ wáng” e “nǚ háizi”

 

            In tutti questi casi, è bene insistere, non si deve parlare di “caratteri composti”, bensì di unità semantiche, quelle entità distinte graficamente ma unite dal punto di vista del significato, che i Cinesi chiamano “cí”, gli Italiani “parole”, ma che nessuno, a tutt’oggi, sembra in grado di definire con chiarezza.

 


Bibliografia

 

Abbiati, Magda (1992): La lingua cinese, Venezia, Cafoscarina.

 

Abbiati, Magda & Chen, Liansheng (1997): Caratteri cinesi, Venezia, Cafoscarina.

 

Albanese, Andreina (1989): La lingua cinese e le sue principali caratteristiche, Bologna, CLUEB.

 

Eberhard, Wolfram (1999): Dizionario dei simboli cinesi, Roma, Ubaldini.

 

Fazzioli, Edoardo & Chan Mei Ling, Eileen (1998): Caratteri cinesi, Milano, Mondadori.

 

Tan, Huay Peng (1998): What’s in a Chinese Character, Beijing, New World Press.

 

Viotti Bonfanti, Alessandra (1991): Dizionario cinese-italiano italiano-cinese, Firenze, Le Lettere.

 

Wang, William (1999): La lingua cinese, in Giuseppe Longobardi (a cura di): Le lingue del mondo, Le Scienze quaderni n.108, Milano, Le Scienze.

 

Yuan, Huaqing (1993), La scrittura cinese, Milano, Vallardi.

 

Zhao, Xiuying & Gatti, Franco (1996): Dizionario compatto cinese italiano italiano cinese e conversazioni, Bologna, Zanichelli.

 

Siti Internet

 

Animated Chinese Characters

http://www.ocrat.com/ocrat/chargift

Consultato il giorno 27 aprile 2001

 

On-line Chinese Tools

http://www.mandarintools.com

Consultato il giorno 27 aprile 2001

 

Zhongwen

http://zhongwen.com

Consultato il giorno 27 aprile 2001.


Indice

 

Paragrafo

Pagina

Descrizione del carattere “nü”

2

Storia ed evoluzione del carattere

3

nǚ nei composti

4

La condizione della donna nella società cinese arcaica

5

Nota grammaticale

10

Bibliografia

12

 

 

Indice delle figure

 

Numero e nome della figura

Pagina

Figura 1: il carattere “nǚ”

2

Figura 2: l’ordine dei tratti

2

Figura 3: proporzioni del carattere

2

Figura 4: immagine tipo da cui prende spunto il pittogramma

3

Figura 5: pittogramma originario (1400 a.C. circa)

3

Figura 6: evoluzione nei secoli del carattere nǚ

4

Figura 7: stile corsivo

4

Figura 8 il carattere zhuāng

5

Figura 9 il carattere wēi

5

Figura 10: i caratteri “mā”, “jiě”, “mèi” e “gū”

5

Figura 11: l’ideogramma “ān”

6

Figura 12: il carattere “lán”

6

Figura 13: il carattere “jí”

6

Figura 14: il carattere “qī”

7

Figura 15: i caratteri “rén” e “zhòng”

7

Figura 16: i caratteri “mù”, “lín” e “sēn”

7

Figura 17: i caratteri “huŏ” e “yán”

8

Figura 18: il carattere “jiān”, grafia tradizionale

8

Figura 19: il carattere “jiān”, grafia semplificata

8

Figura 20: il carattere “nú”

9

Figura 21: il carattere “yāo”

9

Figura 22: il carattere “hǎo”

9

Figura 23: l’ideogramma “xìng”

10

Figura 24: i caratteri “miào”, “wăn”, “wŭ”, “xián”, “yú”

10

Figura 25: i sintagmi nominali “nǚ wáng” e “nǚ háizi”

11

 

 



[1] Per tutto il corso del lavoro si è preferito ricorrere ai termini “logogramma” e “logografico” rispetto ai più diffusi “ideogramma” e “ideografico” al fine di evitare ogni possibile ambiguità, dal momento che “ideogramma” è stato adoperato, secondo la terminologia più diffusa tra gli addetti ai lavori, per riferirsi ad un solo tipo di caratteri, distinto da pittogrammi, fonogrammi, etc. Per maggiori dettagli sulla “logografia”, si veda Albanese (1989:26).

[2] Gli esempi calligrafici dei diversi periodi storici riportati qui e nei successivi capoversi è tratto da Yuan (1993).

[3] I caratteri “nú” (“schiavo”), , “nŭ” (“applicare”)  e “nù” (“rabbia”)  sono eccezioni solamente in apparenza: nel primo caso la veste fonica è tanto simile alla pronuncia del radicale per pura coincidenza (si veda in séguito), nel secondo  e nel terzo caso la componente fonetica è data da tutta quanta la parte superiore del carattere, ossia la donna e la mano, e non dalla donna soltanto.

[4] Occorre però precisare che il dizionario di Viotti Bonfanti riporta separatamente sia i caratteri tradizionali che quelli semplificati corrispondenti, pertanto il numero effettivo di composti che sfruttano questo radicale dovrebbe essere leggermente inferiore.

[5] Si è deciso di omettere, in questo caso, il secondo significato del carattere, l’aggettivo “oscuro”, derivato dal primo per metonimia, dal momento che non è rilevante ai fini della presente dissertazione.

[6] Quest’ultimo caso, quello di “nǚ háizi”, potrebbe rientrare altresì nella sezione precedente, quella relativa alla discriminazione attuata dalla Cina antica ai danni delle esponenti del gentil sesso. Infatti, qualora il sostantivo “háizi” non contenga alcuna specificazione, sebbene tecnicamente possa riferirsi ad entrambi i sessi, implica di norma che si alluda a bambini, mentre per riferirsi alle bambine è necessario sempre esplicitarne il genere (Eberhard, 1999:40); fino a tempi recenti (1949), le figlie femmine non avevano nemmeno il diritto legale di ereditare ciò che possedeva il padre, e anche per questa ragione le donne in dolce attesa speravano di divenire madri di un maschio piuttosto che di una femmina.